Privacy Policy
Pages Navigation Menu

Ekululanemi: stendo le mie ossa per i più sfortunati.

Da 37 anni in Swaziland è aperto il centro riabilitativo per gli handicappati, creato dal missionario artenese dei Servi di Maria Padre Giuseppe Vitelli e proseguito da Don Angelo Ciccone.

Sono più di cinquanta anni che Padre Angelo Ciccone è in missione. Le nozze d’oro con il Swaziland – la sua patria missionaria – ricorda il sacerdote “le ho passate nella catapecchia di una gentile vecchietta monzambicana, dove ho passato la notte festeggiando insieme a cimici, pidocchi, scarafaggi”.
Ritornava dalla foresta di Massvelene, dopo aver visitato i suoi lebbrosi (vedi “Laddove Dio piange – viaggio nella foresta di Massvelene tra una comunità di lebbrosi“) e si era perso. Per la precisione era andato a visitare la comunità dei 75 orfani di Mkhaya, che per tutta l’estate aveva vissuto sotto un albero, ma che ora, nell’inverno del Swaziland aveva finalmente a disposizione una grande sala. Stava tornando alla sua adorata missione di St. Joseph.

La missione di San Giuseppe è una vasta parrocchia con dieci stazioni missionarie più piccole sparse nel bosco nel raggio di 100 miglia. Tra questa la principale è Mzimpofu che significa “casa povera”, ma in questa casa povera c’è una enorme ricchezza: la presenza di Dio, e con Lui alcuni tra i centri medici e scolastici più importanti del Swaziland.
Il più apprezzabile è l’Ekululameni Centre, un centro di riabilitazione per handicappati adulti e bambini, con i suoi vari dipartimenti: la scuola per cucire, la maglieria, il telaio, la falegnameria, la scuola per il lavoro del ferro, dell’artigianato, dell’agricoltura, della calzoleria. Tra le tante strutture presenti a Mzimpofu, non possiamo dimenticarci del Resource Centre, un istituto per bambini ciechi dove si impara il braille; lo Zama Centre, una scuola per ragazzi con un ritardo mentale; la Infant School, un asilo per bambini abbandonati; la Primary School, la scuola elementare con un ciclo di sette anni; la High School, la scuola superiore con il ciclo di 5 anni; la Bourding house, un collegio per ragazzi e ragazze in gran parte disabili, e le Out Schools, una serie di istituti sparsi nel territorio di San Giuseppe.
Tutte queste attività hanno i loro responsabili e sono dirette da un comitato centrale che coordina i vari settori. Al di sopra, però, c’è padre Angelo anche se lui minimizza il suo ruolo.
Fu durante il primo decennio della vita missionaria che Padre Angelo, avendo molti contatti con il popolo e gli stregoni, scoprì che gli handicappati venivano considerati come gente inutile, da evitare, messaggeri e portatori di sfortuna sia per la famiglia alla quale appartengono che per gli altri che li avvicinano. Le credenze, le magie i pregiudizi di un ramo di stregoni chiamati Abatsakatsi, dominavano la mentalità bantù e quindi swazi. Insistevano nel dire che il loro metodo di vita è quello ricevuto dai loro antenati, gli Emadloti, che suggeriscono come vivere e cosa fare; anche come curare un malato e – soprattutto – erano convinti che gli handicappati erano dei piccoli mostri che dovevano essere eliminati dalla società. Padre Angelo potrebbe raccontare in un intero volume quanti bambini e bambine sono stati sacrificati perché portatori di handicap.
L’isolamento dei bambini e degli adulti handicappati era atroce, inumano. Gridava vendetta al cospetto del Signore.
Appena accertata l’orribile verità, insieme a Padre Giuseppe Vitelli, missionario artenese in Swaziland dal 1949, si diede subito da fare.
Ma all’inizio non sapeva proprio come agire, ed era ben lontano dall’organizzare un centro per handicappati.
Raccoglieva e portava in missione ogni genere di disabile, allo scopo di dargli un piatto di polenta e proteggerlo da una morte di isolamento e di avvelenamento.
Originariamente fu un duro cammino; i due sacerdoti erano continuamente criticati. Molti lasciarono la missione per paura di essere stregati dagli handicappati. Le suore urlavano perché non bastava il cibo, i frati li definivano dei matti. Solo il Vescovo Casalini li incoraggiava, ma dietro le quinte senza mai uscire allo scoperto.
Il primo gruppo di handicappati arrivò nella missione il 28 dicembre 1968.
“Forse fu proprio quel giorno – dice Padre Angelo Ciccone – in cui il Signore mi ispirò a piantare un seme: riabilitare gli handicappati. Incominciai con i ciechi, poi i menomati fisici, poi i mentalmente ritardati, poi…un piccolo Gottolengo…poi un centro di riabilitazione per handicappati”
Angelo comprese ben presto che era il buon Dio che lo chiamava a proteggere, ad assistere, ad educare gli handicappati, e pur continuando il progetto della scuola, che aveva intrapreso qualche tempo prima, si buttò a corpo morto nella riabilitazione dei disabili, e non solamente nella riabilitazione fisica, ma anche e soprattutto, in quella della considerazione che gli ammalati destavano ai cosiddetti normali.
E fin dall’inizio Ciccone e Vitelli non vollero separare gli handicappati dai ragazzi normali. Fu un suggerimento che ricevetto dall’Alto, dissero, ma andarono incontro a critiche.
“Era come nuotare controcorrente” – affermava Don Angelo.
Nel 1969 in missione c’erano ben 120 diversamente abili, a cui il sacerdote procurava cibo, vestiti, carrozzelle, stampelle, istruttori, fisioterapisti, locali idonei; ma era sempre più difficile tirare avanti, tanto che Angelo decise di allestire una campagna missionaria in Italia, portando con se cinque swazi tra cui il giovane Louis Ndlovu, oggi Vescovo della diocesi.
Riuscì a raccogliere molti fondi, che furono tutti spesi per lo sviluppo del centro dedicato agli handicappati.
Oggi, quel seme gettato con tanta fatica e senza alcun piano specifico, è cresciuto ed è diventato un albero fiorente. Chi coltiva e pensa al mantenimento di questo albero – cioè delle attività presenti nella missione – sono gli handicappati stessi: ex alunni del centro, diventati insegnanti esperti e qualificati. Molti di loro sposati e con bellissimi figli.
Questo albero è veramente cresciuto per volere di Dio,e l’arcobaleno è apparso nel cielo del Swaziland quasi a rappresentare l’unione tra i due emisferi; noi che stiamo in Italia e loro che sono laggiù.
Alla fine degli anni settanta il progetto della riabilitazione degli handicappati era ormai realtà, che conquistò il cuore dei swazi, i quali, finalmente, cominciarono a dargli una mano, segno che la loro considerazione verso i disabili incominciava a cambiare: erano rispettosi e partecipanti.
Fu negli anni ottanta che il progetto Ekululameni si concretizzò in maniera definitiva. Padre Angelo continuava ad educare il popolo ad accettare i diversi, e convocava nella sua umile casa tutti gli stregoni, e a loro domandava i motivi per cui gli handicappati dovevano essere emarginati, a volte anche uccisi.
Oggi sono le stesse mamme degli handicappati, con le lacrime agli occhi, che chiedono l’accoglienza per i loro figli nei centri di Mzimpofu.
Il centro di riabilitazione ospita attualmente circa 300 ragazzi (storpi, ciechi, invalidi, malati mentali) e un centinaio di persone cresciute nell’ambiente che hanno dato vita ai laboratori di falegnameria, di meccanica, di artigianato, e si guadagnano tutti da vivere. Ekululameni non è un semplice collegio, un casermone dove ci si distingue per il numero del letto, ma è un villaggio di case di dimensioni diverse dove si vive in famiglia. Oggi sono una trentina di edifici sparsi su una collina ombreggiata da alberi gagliardi e dove gli eucalipti di cinta proteggono dai venti australi.
Nell’aria, ad Ekululameni, si sente la presenza di Dio e la cura amorevole di una Madre, non naturale, ma carica alla stessa maniera di amore.
A Ekululameni Dio vede e ascolta l’affanno e il dolore degli umili, e provvede con il suo amore misericordioso e con la solidarietà della Chiesa. Il centro è in buone mani; la maggioranza degli insegnanti sono gli stessi che lo hanno frequentato, responsabili e felici di dare una mano ai loro consimili.
Il centro è il fiore all’occhiello dell’attività missionaria dei Servi di Maria, ed è un grande atto di carità.
Padre Angelo Ciccone c’è sempre; la sua presenza è indispensabile; ma il Signore lo ha chiamato ad altri progetti: uno riguarda ancora un centro di riabilitazione di handicappati, questa volta a Marracuene in Monzambico, e l’altro nella foresta di Massvelene dove “abbraccia” quotidianamente la croce della lebbra.
Ma i “bambini del cielo” (così vengono chiamati i piccoli handicappati) sono sempre nel suo cuore e per loro lui “ha steso le sue ossa” (ekululameni).