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Presentazione del libro: “Le occasioni perdute del PD di Artena”

renato_centofanti_libroUn libro sugli ultimi 5 anni della vita politica artenese, una analisi sulle dinamiche che hanno portato alle elezioni amministrative del 2014 da dentro la sezione del PD di Artena. Renato Centofanti parte dal “piccolo” della sezione di Artena per arrivare poi a riflessioni sulla politica nazionale.
Sulla scena tanti attori: la giunta Petrichella, Erminio Latini, il gruppo Crescere Insieme, Felicetto Angelini, Fabrizio De Castris e Silvia Carocci, Vittorio Fiorentini, Armando Conti ed Impegno Civico, il Laboratorio delle Idee, Loris Talone, SEL Artena, i segretari e gli attori importanti del PD artenese, i Giovani Democratici e gli altri protagonisti della vita politica del paese.

Ma su tutto e tutti il ritorno dei Gattopardi (due), accusati di aver lasciato il paese in un “paludosa” empasse politica ancorata alle vecchie logiche, incapaci di mettersi da parte e colpevoli di affossare i tentativi delle nuove leve di emergere e rinnovare la scena politica artenese.

Senza dubbio qualcosa che non ricordo sia mai stata fatta, almeno da quando abbiamo creato questo blog: una persona che dall’interno del proprio circolo politico, ci fornisce uno spaccato su “come sono andate le cose” durante l’ultima tornata elettorale. Un punto di vista soggettivo, ma che spero spinga altri a dire la propria e a creare dibatitto su un tema così importante e così, per molti non addetti ai lavori, quantomeno “nebuloso”.

Il libro, intitolato Le occasioni perdute del PD di Artena, sarà presentato dall’autore, Renato Centofanti, al piano 1 del Palazzaccio di Artena, Sabato 24 Ottobre alle ore 17. Parteciperanno alle presentazione Luigi Biagi, vicedirettore de “La Tribuna dei Castelli”, e Davide Corsetti, presidente dell’associazione culturale Artenaonline.it

Di seguito, per gentile concessione dell’autore, un capitolo del libro.

Capitolo “La speranza in un riscatto del Circolo”
Pensavo che il “Circolo” dovesse riscattarsi dal farsi manovrare dall’esterno da amicizie politiche e collateralismi personali, ma i vizi culturali sono peggio del lupo che perde il pelo e non il vizio, sono sempre in agguato e sempre fanno male.
Rispetto al 2010 (anno delle elezioni amministrative) erano successe tante cose in Italia e nel mondo; una crisi economica di proporzioni enormi stava facendo vittime (basta pensare che, per non destare allarme sociale a un certo punto non si è dato più risalto ai tanti piccoli imprenditori suicidatisi) e creando un esercito di persone fuori dal mondo del lavoro e dall’assenza di un minimo di reddito vitale – ricordo a tutti che nell’Europa dei 26, sono solo tre stati: Italia, Grecia, Ungheria, che non hanno una legge sul RMG – per molti cittadini fuori dal mercato del lavoro.
Questa crisi, che verrà ricordata come la “crisi dei debiti degli stati”, nasce ufficialmente con il fallimento della Lehmann&Brother.
Chi non ricorda le immagini dei dipendenti che uscivano con gli scatoloni pieni di effetti personali dagli androni dei grattacieli?

Quella forse è l’immagine simbolo dell’inizio della crisi.

La crisi, guardandola nella quotidianità, cominciava ad entrare nella vita materiale delle persone in modo sottile, e come un veleno a bassa tossicità si diffondeva anche nei nostri pensieri e nei modi di vedere le cose e determinava cambiamenti comportamentali.
Insomma una “grande depressione occidentale” avveniva nell’era della mondializzazione e stava investendo tutti noi. Silvio Berlusconi presidente del governo nell’estate del 2011 venne sorpreso dalla “Tempesta degli Spread”, cioè tassi di interesse sul debito sovrano che crescevano esponenzialmente facendo paventare la possibilità del “fallimento” dell’Italia, con la conseguenza di non riuscire ad ottemperare agli impegni presi.
Si profilava così un orizzonte drammatico; solo allora prendemmo coscienza che stavamo sull’orlo dell’abisso finanziario. L’Italia si impaurì come mai ricordavamo; solo qualche anno prima, mai avremmo immaginato una tale catastrofe incombente, un tale senso di impotenza, lo sgomento del non sapere dove andare e cosa fare. La Politica nel suo complesso era debole e incapace di decisioni. Berlusconi, che negli anni iniziali (2008) della crisi esorcizzava il problema dicendo banalità del tipo : ” I ristoranti, le pizzerie e gli aeroporti sono pieni di gente”, era cieco, non come un vecchio Edipo che portava la grandezza tragica nei suoi occhi, inutili ormai, ma come un vegliardo (ricco e potente) che trasforma i propri sogni senili in baccanali, “feste cortesi” con bunga-bunga annesso, dove possiamo ben immaginare l’impotenza dei “vegliardi miseri” che cercano un contatto carnale, tattile. Una farsa decadente tra Petronio, Salon Kitty e “Salò e le 120 giornate di Sodoma”; la miseria del potere nell’orgia dell’assenza di senso.
Mai la vita pubblica repubblicana era scesa nei sotterranei dell’indecenza, mai come nella saga del bunga- bunga, della cecità corrotta, della decadenza comportamentale della corte berlusconiana. La “preghiera civile” in forma di canzone di Franco Battiato “Povera Patria” coglieva magistralmente lo smarrimento di un popolo e le derive indecenti dei potenti. Molto spesso alcuni cantautori, come moderni rapsodi, sono stati essenziali per aiutarci a prendere coscienza dei nostri mali italici.

“Povera Patria”

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos’è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni!
Questo paese è devastato dal dolore…
ma non vi danno un po’ di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.
Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco, e mi fa male
vedere un uomo come un animale.
Non cambierà, non cambierà
si che cambierà, vedrai che cambierà.
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po’ da vivere…
La primavera intanto tarda ad arrivare.

Canzone che coglieva il tempo e ne anticipava l’ulteriore disfacimento morale.