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Storie di vita e di Politiche Sociali.

14 luglio 2010 visto 410 volte 6 Commenti Scritto da Martina

Avrei potuto riempire queste righe di dati, grafici, statistiche. Avrei potuto, ma non lo farò. Quello che farò è raccontarvi delle storie.

Intanto una premessa: il motore di questo articolo è stato l’incontro Caritas con i quattro candidati a sindaco. Temi: immigrazione e problema casa. Alla base di tutto, però, c’è la povertà. Allora è una questione politica. Sappiamo che, negli ultimi anni, il tessuto sociale artenese si è arricchito. Mi spiego: la popolazione di questa città è costituita da persone nate in quarantotto (48) Stati differenti. Questi potrebbero tranquillamente essere i numeri di una metropoli. Adesso l’8% della popolazione non è italiana (vi ricordo che in questa percentuale non sono contemplati gli irregolari). Stando ai dati Caritas, moltissimi di loro chiedono vitto, ascolto, sostegno economico e lavoro. Ma arriviamo subito ad un punto: la povertà non ha nazionalità; un numero molto elevato di cittadini di Artena, non deve importare se essi siano nati qui o meno, ha bisogno di sostegno economico. Sopportate ancora un altro fatto: nel 2008 le famiglie di cui parlo erano diciassette; in un anno sono diventate centosette (107).

Preso atto di ciò, la mia unica domanda è stata: come rispondono le istituzioni?

I. La mia ricerca è iniziata quando ho incontrato la prima famiglia e, con essa, la mia coscienza. Pensate ad una casa di campagna. Più che dignitosa. Immaginate il calore degli affetti, la serietà e il rispetto per un lavoro che dà da mangiare a tutto il nido, l’impegno grande di tutti affinché tutto vada per il verso giusto. Ora, pensate a cosa può accadere se, in un contesto già precario, si affaccia anche la malattia. Una malattia che non scherza, per l’esattezza. Reiterate difficoltà economiche, sacrifici, schiene spezzate, speranze che vanno in fumo, poi la malattia. Si deve fare molto: serve sostegno economico e assistenza domiciliare. Il primo manca totalmente, la seconda è insufficiente e parziale. Arrivano bollette gonfie, come se dall’alto le istituzioni, che pure sono a conoscenza delle problematiche che ho riportato, non riuscissero a capire bene. Una famiglia che, a volte, non ha pane e latte, può sprecare soldi per una tassa (Tarsu) di 6oo euro?

Giudicate.

II. E’ ragionevole pensare che una sola persona possa portare sulle spalle il peso di una famiglia numerosa, senza testa (il padre è morto), con disagi mentali e handicap fisici, gravato dall’assoluta povertà economica? Che sia ragionevole o no, è quello che sta accadendo, oggi-adesso, ad un giovane cresciuto in un ambiente spaventoso. A contare tanto su di lui è il comune, il quale manca in aiuti economici e, stavolta in assoluto, è assente dal punto di vista assistenziale. Un uomo può sopportare una situazione del genere da solo?

III. Uomo, quarantacinque anni. Conseguita la licenza media inizia a lavorare come meccanico. Poi?- chiedo io. “Poi ho perso tutto”. E’ evidente una profonda depressione; il suo racconto va avanti lento, interrotto più volte da pianti e silenzi. Ventenne, si reinventa muratore, questo fino al fallimento della ditta della quale era dipendente. Fa presto a rimediare, e si sposa anche. “Problemi economici ci sono sempre stati, anche se lavoravo. Mi chiedo se ero io a pretendere troppo dalla vita, o se, in effetti,  era la vita ad essere davvero difficile”. Da anni non lavora più in regola. E’ molto difficile sostenere il ritmo delle tasse: rimane indietro. La sua, nel frattempo, è diventata una famiglia numerosa. I debiti di accumulano, e un maledetto vizio comincia a farsi spazio nella sua quotidianità. Pare che abbia chiesto aiuto al Comune. Gli hanno consigliato di recarsi da un responsabile Caritas che “ti dà il pacco”. Non è esattamente il sussidio che cercava.

IV. “Dieci anni fa ho incontrato l’uomo che mi ha ridato la felicità, e dal nostro incontro è nata una bambina”. Di questa storia si vorrebbe ricordare solo la conclusione. Erminia, la protagonista, nasce con addosso il peccato originale, la sua fetta di debito pubblico e una malattia cronica. Cresce con affanno e sventa il primo attacco frontale che porta il nome di leucemia. Tutto si calma e riesce a trovare stabilità, ma la sua serenità viene compromessa contemporaneamente alla salute del compagno. “L’assistente sociale mi è stata molto vicina, mi ha detto che mi spettava un piccolo sussidio trimestrale. Inoltre, dato il nostro basso reddito, godevamo di agevolazioni riguardo mensa e trasporto scolastico per nostra figlia”. Il comune si prende cura di questa famiglia. Il sostegno delle istituzioni si fa sentire anche telefonicamente: Erminia riceve spesso chiamate da parte dell’assistente sociale. Riduzione di tasse, assistenza. Stavolta il Comune c’è. Il marito guarisce, lei si rimette in piedi e trova anche la forza di combattere un tumore alla gola con metastasi ai polmoni. Paradossalmente, la sua invalidità, prima riconosciuta al 100%, con quest’ultima patologia si è ridotta al 67%. Da un anno sono stati avviati provvedimenti legali. Ci lasciamo con una promessa “quando la salute mi assisterà, cercherò lavoro”.

Andando avanti con la ricerca, mi sono accorta che la Caritas, se si parla di povertà, è l’interlocutore preparato; è altrettanto vero che nasce come un ente spirituale: l’obiettivo, quindi, non potrà essere la consegna del pacco alimentare. Ho deciso di entrare nel mondo dei volontari Caritas, ho partecipato ad un loro incontro. In quell’occasione si è rivelata funzionale alla comprensione soprattutto una domanda: c’è dialogo tra la Caritas e le istituzioni? E’ venuta fuori quella che sembra essere una verità universale: i comuni (mi riferisco a quelli della nostra stessa diocesi) si appoggiano alla Caritas, lasciano fare, non la interrogano. Potrebbe essere molto utile sedersi a tavola con Franco Scaccia (responsabile della distribuzione degli alimenti per la parrocchia Santa Maria del Gesù) e farsi raccontare quello che vede. Da lì potrebbe partire un intervento. Il punto è che, dati alla mano,  si procede con elargizioni una tantum. Stando dentro le situazioni, si fa presto a capire che devono partire progetti pensati (microcredito, per dirne uno); chiaro che servono strumenti (innanzitutto economici), ma forse serve prima un altro cuore. Serve un’altra impostazione morale, culturale. La povertà non la si deve intendere come un oggetto da eliminare, ma come qualcosa di cui farsi carico.

I volontari Caritas non sono dei fessi, sono persone serie, che donano il loro tempo agli altri in maniera incondizionata. Incontrarli per molti versi è come guardare un extra terrestre da vicino; sono donne e uomini rari ed essenziali, non un gruppo di filantropi. Perché lo fanno? Sapete qual è stata la risposta più chiara e semplice che mi hanno dato? “Il più grande rivoluzionario della storia ha detto Ama il prossimo tuo come te stesso”. Che è come dire Perché tu, invece, non fai niente?

Ho incontrato più di una volta i membri dell’ufficio per le Politiche Sociali di Artena. Durante l’ultimo incontro ho consegnato sette domande a cui spero possano rispondere con un comunicato su Artena Online.

Riporto di seguito le questioni che ho posto loro.

1.Il 2010 è l’anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. La comunità Europea metteva a disposizione fondi destinati a finanziare i migliori, più fantasiosi e costruttivi progetti volti a combattere la povertà. Avete tentato di partorire un progetto?

(non era questione di numeri, potenzialmente anche una piccola città come Artena poteva pensare un progetto ed essere premiata).

Il quadro strategico europeo prevede una serie di eventi funzionali alla sensibilizzazione dell’intera comunità riguardo al tema “povertà” ; per rendere questo possibile occorre l’aiuto di tutti. Voi avete previsto manifestazioni, confronti, eventi di piazza?

2.Trenta sfratti per morosità nel 2009; sempre nel 2009 il comune ha dato sostegno economico a 107 famiglie, di cui 10 immigrate; confermate questi dati forniti da voi stessi alla Caritas?

3.Cosa significano questi numeri in termini di responsabilità politica? Quanto si investe per le politiche sociali?

4.Ci potreste far luce sui fondi che avete a disposizione? Da dove arrivano? Sono sufficienti?

5.Cosa rispondete a chi dice di non avere fiducia nelle istituzioni,  nello specifico nell’attività del vostro ufficio? Pensate di fare tutto il possibile per le persone che incontrate? Se questa fosse una  possibilità di fare loro un appello, cosa direste?

6.Cosa chiedereste al nuovo sindaco? Maggiori contributi economici, maggiore sensibilità, edilizia popolare, etc.

7.Noi, come comunità artenese, cosa possiamo fare? In cosa potremmo aiutare il vostro prezioso e importante lavoro?

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