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Polo Tecnologico: Focus sull’inceneritore a biomasse vergini. Introduzione

Introduzione ad una ricerca sull’Inceneritore di Biomasse Vergini da realizzare in Artena

Il Sorghum bicolor L. è una tra le specie erbacee candidate a soddisfare le eventuali esigenze dell'inceneritore a biomassse

Il Sorghum bicolor L. è una tra le specie erbacee candidate a soddisfare le eventuali esigenze dell'inceneritore di biomassse

Durante l’ultima seduta comunale c’è chi ha chiesto lumi sull’inceneritore a biomasse che fa parte del progetto del polo scientifico e tecnologico. Si è parlato di uno spostamento del sito di costruzione dell’inceneritore verso il confine del Comune di Colleferro, a ridosso dei due termovalorizzatori che si affacciano sulla Casilina. Non illudiamoci, spostare di qualche km l’impianto non risolve il problema, le polveri (e le nanopolveri) non hanno difficoltà alcuna a varcare i confini territoriali di Comuni, Province, Regioni o Stati Nazionali.
Inoltre sono stati distribuiti volantini da parte di appartenenti della sezione di Alleanza Nazionale di Artena in cui si attaccava questa scelta del consiglio comunale di accettare la costruzione di questo inceneritore.
La nostra linea però è quella di vederci chiaro in questa storia (come in tutto ciò che riguarda il paese) da soli, senza dare ascolto alle voci da bar e senza soprattutto cadere nei tranelli dei giochi di potere che sia da una parte che dall’altra (o dalle altri…) governano il paese seguendo unicamente interessi personali, come più volte ci sta capitando di osservare da quando abbiamo iniziato a interessarsi della politica artenese.

Prima ancora di mettere le mani sul progetto originale dell’inceneritore di biomasse depositato (e già pagato dalla Regione e dalla Provincia) presso il nostro sonnolento Comune, è lecito fare una piccola ricerca e capire cos’è e come dovrebbe funzionare un inceneritore di questo tipo.

Teoricamente un inceneritore che usa biomasse vergini per la produzione (in minima parte) di elettricità e (in maggior parte) di calore, non usa ne rifiuti solidi urbani, ne combustibile da rifiuto o cdr, ma qualcosa definito come biomasse vegetali ad uso energetico. Queste biomasse provengono da coltivazioni dedicate di specie erbacee e arboree a cadenza annuale e poliennale.
Per la termovalorizzazione (cioè per l’inceneritore) sono di solito utilizzati il Kenaf (Hibiscus cannabinus, una specie di Ibisco alto fino a due metri e altamente infestante), il sorgo da fibra (Sorghum bicolor L., alto oltre 4 metri), il mais da fibra(Zea mais), e la canna comune (Arundo donax).
Dato che il sorgo da fibra è adatto ad un regime di coltivazione che non ha bisogno di irrigazione, ha un elevato sviluppo verticale che permette un’alta resa produttiva per ettaro (22-25 tonnellate/ettaro) e due raccolte (una di fine estate e una di fine inverno) annuali, questo sembra il miglior candidato alla coltivazione nella inquinata Valle dei Latini.
Perchè uno dei compiti di questo progetto sarà anche questo: recuperare l’area della Valle dei Latini (ex Valle del Sacco) che anni di incuria e sciacallaggio industriale hanno trasformato in un bacino altamente inquinato da obbligare il Governo Italiano a vietare qualsiasi tipo di coltura alimentare umana o animale. L’area indicata è di circa 6.000 ettari ed è un’area che la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) si impegna a riservare totalmente (dietro contratti ventennali) alla coltura di questo tipo di biomasse. Da sola l’area garantirebbe annualmente almeno (quindi nella più negativa delle ipotesi) 120.000 tonnellate l’anno di materiale adatto all’inceneritore (cifra che dati alla mano dovrebbe raggiungere le 240.000 tonnellate se sono possibili due raccolti annuali). Questo dato da solo scongiurerebbe (almeno per vent’anni) esempi di speculazione economica che hanno colpito progetti simili negli U.S.A. o in america Latina negli anni ’90, oppure l’eventualità che per forza di cose venga utilizzato altro materiale per alimentare il termovalorizzatore (come a d esempio legna comune da ardere imporatata da chissaddove). Ci sarebbe in pratica una sorta di protezione economica localizzata nella Valle dei Latini. A quella produzione poi, potrebbe essere aggiunta la produzione al di fuori delle zone direttamente interessate dal divieto di colture agroalimentari del governo, cioè quelle di Artena o dei paesi limitrofi.

Per quanto riguarda l’emissione di sostanze inquinanti non illudiamoci: l’energia non si crea, non si distrugge ma si trasforma, quindi nulla non inquina. Immaginate una maxicaldaia da 40 MW che va a erbacce, il fumo lo fa eccome. Ma quando si tratta di energia, c’è sempre un confronto da fare rispetto altre forme di energia. 40 MW di calore non sono tantissimi (una centrale a carbone come quella altamente inquinante di Civitavecchia sviluppa 1600 MW), ma sono sufficienti a soddisfare le esigenze termiche dell’Outlet, del futuro Parco Giochi di Valmontone e dell’Ospedale di Colleferro (senza contare le abitazioni nelle vicinanze delle centrali), esigenze che ora vengono assicurate da centrali termiche (caldaie ndr) che vanno a gas metano o a gasolio, e che, in quanto fossili, sono sicuramente meno eco-compatibili e oltretutto, prese nella totalità delle utenze, hanno un costo a livello ambientale superiore di un unico inceneritore ottimizzato. Senza contare che una piccola parte di elettricità (20 MW) viene prodotta aumentando il risparmio in termini di inquinamento ambientale.
Nel discorso dell’impatto ambientale non si può però non pensare alle sostanze inquinanti contenute nei terreni assorbite dalle piante: se verranno bruciate, dove andranno a finire?

Del resto, prima di schierarsi, occorre prendere il progetto e cercare le caratteristiche tecniche, per essere sicuri che, almeno sulla carta, ci sia stata detta tutta la verità sul progetto, verità che comprende l’impossibilità tecnologica di utilizzare altre biomasse (comprese quelle derivate dalla lavorazione dei rifiuti) o addirittura cdr (come è avvenuto in altri esempi spazi per la nazione) e l’impossibilità di variare in corso d’opera la struttura dell’inceneritore per permettere in futuro di cambiare la destinazione d’uso dell’inceneritore.