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Piana Della Civita: ecco come si abbandona la storia a se stessa.

Pubblichiamo un articolo inviatoci da Giulia Ciucci molto interessante riguardo la storia e l’attuale situazione di Piano della Civita.

Dal 1979 la Soprintendenza Archeologica del Lazio ha vincolato e posto sotto tutela la Civita di Artena, comunemente conosciuta come Piana Civita; dal 1972, inoltre, il sito è protetto dal Piano Regolatore del Comune di Artena.
Queste misure legali sono state proposte e attuate per conservare e tutelare il patrimonio archeologico presente in maniera evidente nel sito di Piana Civita: enormi mura di tipo megalitico, con un perimetro di 2,5 m. delimitano un’area di circa 40 ettari.
Queste antiche fortificazioni furono realizzate ovviamente per scopo difensivo; la Civita, infatti, è uno straordinario luogo di sorveglianza posto davanti ad un importante crocevia del Lazio: da N ad E si estende la Valle del Sacco; ad O, dominato dal massiccio vulcanico dei Colli Albani, si distende il bacino Pontino.
Ad un’estremità di queste mura si colloca anche una delle porte più importanti dell’abitato, del tipo sceo (porta costruita con particolari caratteristiche strategiche: un’apertura sghemba si presenta sul lato destro della porta più avanzato e a quota superiore rispetto a quello sinistro; in tal modo, in primo luogo, in caso di assedio, si poteva arrivare al fornice solo secondo una direzione obliqua e quindi meno potente e, in più, mostrando il lato del corpo non protetto dallo scudo; questi espedienti architettonici rendevano la tattica difensiva più efficace), difesa da un gran pronunciamento delle mura stesse; le altre porte, che davano accesso alla città antica e che certamente dovevano essere presenti, non sono state ancora portate alla luce.
L’area all’interno delle fortificazioni è stata realizzata mediante terrazzamenti a più livelli e delimitata da altre mura ciclopiche, che articolavano il complesso in una serie di piani digradanti sui quali si ponevano le strade, le piazze, le case dell’abitato. Degna di nota è l’imponente rete stradale che è testimone evidente delle straordinarie capacità tecniche degli architetti del tempo.
Questo insediamento abitativo esisteva almeno a partire dalla metà del VII sec. a.C.; successivamente, tra gli ultimi decenni del IV sec. a.C. e l’inizio del III sec. a.C. , il centro fu sottoposto ad un grandioso intervento di pianificazione, attuato da Roma, che gli conferì l’aspetto monumentale visibile ancora oggi dai resti portati alla luce. Il motivo di questo poderoso intervento urbanistico da parte di Roma, va ricercato nella posizione strategica di cui Piana Civita gode: posto all’imbocco della valle del Sacco ed a controllo della via Latina, fu un centro nevralgico in prospettiva delle guerre sannitiche ( 343 a.C. – 295 a.C.) e dell’espansione romana nel mezzogiorno.
All’epoca imperiale, dopo un lungo periodo di abbandono, la vita riprende sul sito in modo molto ridotto concentrandosi nella costruzione di una grande cisterna in opus caementicium in cima all’ “acropoli”; un cuniculus di acquedotto in opus caementicium parte dritto per approvvigionare di acqua una villa signorile costruita in epoca imperiale, di cui rimangono bellissimi mosaici e alcuni frammenti di intonaco affrescato.
Rimane ancora sconosciuto l’originario nome di questa antica città: il nome di Artena è stato conferito solo nel 1873 al contiguo paese medievale, che sino ad allora si era chiamato Montefortino. Tra le diverse ipotesi avanzate per il riconoscimento dell’antico nome dell’insediamento, quello più probabile sembra essere Ecétra che viene ricordate dalle fonti storiche antiche come limite estremo del territorio dei Volsci ai quali apparteneva. È certo che la città ebbe un ruolo preminente nelle guerre tra Roma e i Volsci e per tutto il corso del V sec. a.C. ed ancora nella battaglia del 387 a.C.
Nonostante siano state proposte diverse soluzioni per la tutela e la manutenzione del sito da parte degli studiosi che hanno operato attivamente a Piana Civita (L. Quilici; R. Lambrechts ), ancora oggi, a più di trent’anni di distanza dai primi scavi scientifici condotti dal Centre belge de recherches archéologiques en Italie centrale et méridionale, l’area archeologica di Piana Civita versa in una stato di degrado impressionante. Sul sito, infatti, continuano ad essere svolte attività agricole, e non solo, dalle conseguenze irreversibilmente dannose per il patrimonio archeologico, sia per quello portato alla luce, sia per quello ancora conservato nel sottosuolo: livellamento del terreno con attrezzatura meccanica, aratura profonda, costruzioni abusive, istallazione di recinti non autorizzati, greggi di pecore sulle rovine, sono solo alcune delle aberrazioni che continuano a perpetuarsi nell’area a scapito di ciò che sopravvive da oltre duemila anni.
Inoltre, già alla fine degli anni ’80, gli archeologi si preoccupavano dell’ «l’inquietante progredire dello sfruttamento operato dalla cava, che ha distrutto il fianco della montagna fino a qualche decina di metri dalle antiche mura di cinta »[La civita di Artena : scavi belgi 1979-1989, Artena, Granaio Borghese, 23 dicembre 1989 – 14 gennaio 1990. Roma, Accademia Belgica, 1-10 febbraio 1990. Louvain-La-Neuve, Musée de l’Institut supérieur d’archéologie et d’histoire de l’art de l’UCL, 23 febbraio – 8 aprile 1990, Roma 1989].
Della realizzazione di una «recinzione e protezione con tettoie di alcune vestigia riesumate dalla missione archeologica belga», di «itinerari di visita» ,di «un piano di orientamento» sulla sommità del sito e di «un posto fisso di entrata e di custodia» [ibid.], rimane solo l’intelligente proposta del collaboratore di R. Lambrechts, l’archeologo P. Fontaine, avanzata nell’ipotizzare un parco archeologico per la Civita di Artena [cfr: L. Quilici, Un parco archeologico per la Civita di Artena, Roma 1988], ma rimasta interamente sulla carta.
Artena pur avendo un consistente patrimonio archeologico, non ne sfrutta le potenzialità e, quel che è più grave dal punto di vista di una sensibilità storica collettiva, non ne tutela la conservazione, adibendo i mosaici della villa romana a suolo da pascolo per greggi.
Il disinteresse totale per la riqualificazione complessiva di un territorio così storicamente e tradizionalmente ricco , come quello di Artena, ha raggiunto il suo acme, con l’inaugurazione (dicembre 2009) di un Museo che conserva pezzi di rara bellezza e che è tutt’ora chiuso a causa di una presunta e mai ben chiarita mancanza di un direttore; a tal proposito era stato indetto un bando di concorso (settembre 2009) che non solo non era presente on line, come invece dovrebbe essere per dare a chiunque avesse i requisiti la possibilità di partecipazione, ma che includeva tra le Lauree richieste, alcune poco attinenti con l’attività di direttore di un Museo Archeologico; questi due pesanti “errori” mi hanno fatto pensare malignamente ad una stesura del bando “ad personam”, a misura per un vincitore prestabilito. Tutt’oggi non sono noti gli sviluppi di tale concorso.
Se Artena possiede un Museo Archeologico è solo grazie all’attuale (fino a fine mandato) direttore del Museo, il Prof. Massimiliano Valenti, che con dedizione ed ostinata passione ha donato alla città di Artena di un Museo Archeologico, luogo essenziale per la valorizzazione dell’identità storica di un paese, lottando contro l’indifferenza dell’amministrazione che non è mai riuscita, sebbene più volte sollecitata, a stendere un piano di gestione del Museo, a procedere all’unificazione scientifica e amministrativa di Museo e Piana Civita, ad attingere ai vari fondi europei o nazionali a disposizione per i paesi con importante rilievo storico, archeologico e folkloristico.
Oltre all’empirica presenza di vestigia affascinanti e mal conservate, Artena possiede ottimi requisiti per poter sviluppare il proprio potenziale turistico: la vicinanza a Roma facilmente accessibile grazie all’autostrada (sul cartello stradale dell’uscita di Valmontone, Artena non è affiancata dal simbolo che indica la presenza di scavi archeologici); la conservazione e l’integrità di un ambiente naturale di montagna calcarea e la presenza di sentieri naturalistici battuti dal CAI che uniscono Artena ai vari paesi limitrofi; il centro di Artena, borgo medievale non carrabile più grande d’Europa, adagiato al fianco della montagna.
Se solo si avesse la volontà e forse una maggiore sensibilità verso il patrimonio storico collettivo, non solo Piana Civita, ma Artena tutta potrebbe assumere un altro aspetto e fungere da attrazione per l’ingente quantità di turisti che visitano Roma e i paesi limitrofi. Basterebbe prendere da esempio Monte Porzio Catone (operazione facilitata poiché il prof. Massimiliano Valenti è responsabile del Polo Museale di Monte Porzio) per riqualificare e rivalorizzare il paese di Artena, assicurando così una nuova entrata economica.
Tutte le varie amministrazioni che si sono succedute alla “reggenza” di Artena hanno promesso e mai mantenuto diversi progetti, tra cui il Parco Archeologico di Piana Civita.
I miei studi mi hanno portato a lavorare in realtà molto simili a quella artenese, ovvero in piccoli paesi del centro e sud Italia in cui, però, con l’ausilio e la presenza costante delle amministrazioni locali, siamo riusciti a realizzare interessanti progetti per quanto riguarda Musei Archeologici, aree archeologiche attrezzate e valorizzazione del territorio.
Mi chiedo: perché ad Artena questo non è possibile? Perché?