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Non c’è più tempo, lo dice Asor Rosa. Io ci credo.

14 aprile 2011 visto 470 volte 9 Commenti Scritto da Martina

L’articolo che segue è apparso su “Il Manifesto” del 13 aprile 2011. A seguito della pubblicazione dell’articolo, Asor Rosa è stato etichettato come “sovversivo” da Giuliano Ferrara, che ha pensato bene di dedicare un’intera puntata del suo “Radio Londra” al commento- leggi delegittimazione- delle parole dell’intellettuale. Mi piacerebbe discutere dei temi che tratta Alberto Asor Rosa: scuola, giustizia, democrazia, sovranità popolare, doveri del Capo dello Stato, differenze tra lobby affaristica e partito politico. Questo ed altro. Parliamone, ma intanto leggete l’articolo.

Capisco sempre meno quel che accade nel nostro paese. La domanda è: a che punto è la dissoluzione del sistema democratico in Italia? La risposta è decisiva anche per lo svolgimento successivo del discorso. Riformulo più circostanziatamente la domanda: quel che sta accadendo è frutto di una lotta politica «normale», nel rispetto sostanziale delle regole, anche se con qualche effetto perverso, e tale dunque da poter dare luogo, nel momento a ciò delegato, ad un mutamento della maggioranza parlamentare e dunque del governo?
Oppure si tratta di una crisi strutturale del sistema, uno snaturamento radicale delle regole in nome della cosiddetta «sovranità popolare», la fine della separazione dei poteri, la mortificazione di ogni forma di «pubblico» (scuola, giustizia, forze armate, forze dell’ordine, apparati dello stato, ecc.), e in ultima analisi la creazione di un nuovo sistema populistico-autoritario, dal quale non sarà più possibile (o difficilissimo, ai limiti e oltre i confini della guerra civile) uscire?
Io propendo per la seconda ipotesi (sarei davvero lieto, anche a tutela della mia turbata tranquillità interiore, se qualcuno dei molti autorevoli commentatori abituati da anni a pietiner sur place, mi persuadesse, – ma con seri argomenti – del contrario). Trovo perciò sempre più insensato, e per molti versi disdicevole, che ci si indigni e ci si adiri per i semplici «vaff…» lanciati da un Ministro al Presidente della Camera, quando è evidente che si tratta soltanto delle ovvie e necessarie increspature superficiali, al massimo i segnali premonitori, del mare d’immondizia sottostante, che, invece d’essere aggredito ed eliminato, continua come a Napoli a dilagare.
Se le cose invece stanno come dico io, ne scaturisce di conseguenza una seconda domanda: quand’è che un sistema democratico, preoccupato della propria sopravvivenza, reagisce per mettere fine al gioco che lo distrugge, – o autodistrugge? Di esempi eloquenti in questo senso la storia, purtroppo, ce ne ha accumulati parecchi.
Chi avrebbe avuto qualcosa da dire sul piano storico e politico se Vittorio Emanuele III, nell’autunno del 1922, avesse schierato l’Armata a impedire la marcia su Roma delle milizie fasciste; o se Hinderburg nel gennaio 1933 avesse continuato ostinatamente a negare, come aveva fatto in precedenza, il cancellierato a Adolf Hitler, chiedendo alla Reichswehr di far rispettare la sua decisione?
C’è sempre un momento nella storia delle democrazie in cui esse collassano più per propria debolezza che per la forza altrui, anche se, ovviamente, la forza altrui serve soprattutto a svelare le debolezze della democrazia e a renderle irrimediabili (la collusione di Vittorio Emanuele, la stanchezza premortuaria di Hinderburg).
Le democrazie, se collassano, non collassano sempre per le stesse ragioni e con i medesimi modi. Il tempo, poi, ne inventa sempre di nuove, e l’Italia, come si sa e come si torna oggi a vedere, è fervida incubatrice di tali mortifere esperienze. Oggi in Italia accade di nuovo perché un gruppo affaristico-delinquenziale ha preso il potere (si pensi a cosa ha significato non affrontare il «conflitto di interessi» quando si poteva!) e può contare oggi su di una maggioranza parlamentare corrotta al punto che sarebbe disposta a votare che gli asini volano se il Capo glielo chiedesse. I mezzi del Capo sono in ogni caso di tali dimensioni da allargare ogni giorno l’area della corruzione, al centro come in periferia: l’anormalità della situazione è tale che rebus sic stantibus, i margini del consenso alla lobby affaristico-delinquenziale all’interno delle istituzioni parlamentari, invece di diminuire, come sarebbe lecito aspettarsi, aumentano.
E’ stata fatta la prova di arrestare il degrado democratico per la via parlamentare, e si è visto che è fallita (aumentando anche con questa esperienza vertiginosamente i rischi del degrado).
La situazione, dunque, è più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori.
Se le cose stanno così, la domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la democrazia si annulla da sè invece che per una brutale spinta esterna? Di sicuro l’alternativa che si presenta è: o si lascia che le cose vadano per il loro verso onde garantire il rispetto formale delle regole democratiche (per es., l’esistenza di una maggioranza parlamentare tetragona a ogni dubbio e disponibile ad ogni vergogna e ogni malaffare); oppure si preferisce incidere il bubbone, nel rispetto dei valori democratici superiori (ripeto: lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del «pubblico» in tutte le sue forme, la prospettiva, che deve restare sempre presente, dell’alternanza di governo), chiudendo di forza questa fase esattamente allo scopo di aprirne subito dopo un’altra tutta diversa.
Io non avrei dubbi: è arrivato in Italia quel momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso il precipizio. Come?
Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la pressione della parte sana del paese è una fattore indispensabile del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente dimostrato, non sufficiente.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d’emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d’autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d’interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l’Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando. Se non saranno colte, la storia si ripeterà. E se si ripeterà, non ci resterà che dolercene. Ma in questo genere di cose, ci se ne può dolere, solo quando ormai è diventato inutile farlo. Dio non voglia che, quando fra due o tre anni lo sapremo con definitiva certezza (insomma: l’Italia del ’24, la Germania del febbraio ’33), non ci resti che dolercene.

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9 Commenti »

  • n. 1 - Martina (autore) ha detto:

    Grazie a Vittorio Aimati per avermi segnalato l’articolo.

    • n. 2 - La Brebis Noire ha detto:

      Cara Martina, che non ci sia più tempo purtroppo lo credo anche io, e vedo come un’utopia lontana la realizzazione di quanto descritto nel penultimo paragrafo dell’articolo che ci avete proposto. Mi fa male pensare che abbiamo rinunciato ad uno ad uno a tutti (o quasi) i principi fondamentali dello stato democratico; non credo nemmeno io nella prova di forza dal basso, perchè secondo me sottende una consapevolezza ed una presa di coscienza della popolazione che ahimè ancora (incredibilmente) manca.
      Il popolo italiano non si indigna, è questo il problema.
      O almeno lo fa per un “vaff..” in parlamento o per scandali legati a prostitute minorenni..e continua a dormire e a tacere su tutto il resto (l’ultima dimostrazione l’abbiamo avuta proprio ieri)!
      Senza consapevolezza non può esserci ricostruzione di democrazia…bisognerebbe soltanto capire cosa ancora serva agli italiani per svegliarsi da questo profondissimo letargo….

      • n. 3 - Lorenzo Valeri ha detto:

        Io dico solo che non sopporto i venduti al sig. Silvio e al suo partito, e quindi non sopporto il sig. Ferrara, e tantomeno il Suo Insulso Programma, se è così definibile, altro spazio-tempo rubato sulla Rai, fatto con i soldi “rubati dalla Rai” che è una TV pubblica, dove Ferrara si diverte a commentare le notizie manco fosse un prof. che fà lezione agli scolaretti di 1° elementare!
        Ma và và!

        • n. 4 - elhombrito ha detto:

          Mi permetto di sfottere la storia commentando con le parole del “piccolo borghese” Pasolini un articolo che parla di Asor Rosa.

          “Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
          Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
          Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
          Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”


          Non penso di poter fare di meglio.

          Penso però che uno che ha navigato i tempi come Asor Rosa abbia il dovre morale di ammonire provocatoriamente la società. Un intellettuale non può e non deve cedere al comune senso del politicamente corretto. Ritengo ingiusta ed immatura la pronta presa di posizione di tanti giornalisti e benpensanti Italiani che, bramosi di costruirsi una corazza con la quale serrarsi nei ranghi schierati a difesa della democrazia, hanno condotto il proprio lavoro in maniera capsiosa e poco professionale. Le parole di Asor Rosa sono state, come spesso accade, svuotate di ogni relazione con la persona che le ha proferite. Il discorso sbattuto e smembrato, buttato sul banco del mercato dell’informazione dove ogni passante ha potuto prendere il trancio ed il pezzo che più si potesse adattare alla minestra insipida che intendeva servire.
          Per quanto io dissenta con gran parte del discorso dell’articolo non posso che augurarmi che una seria discussione possa nascere sulla salute della nostra democrazia. Mi auguro che ci si riesca anche a slegare, nell’affrontare questo problema, dalla dicotomia pro/contro Berlusconi.
          Sottolineo come un altra persona (il cui coraggio politico ed onestà intellettuale non possono destare alcun dubbio o sospetto) abbia ripetuto, nella sostanza, l’analisi fatta dal nostro concittadino.
          In particolare mi riferisco ad Emma Bonino che, con parole molto chiare, stasera ha calcato la mano ripassando in carta carbone il copione già accusato e svilito dai media nazionali, di cui si parla in questo articolo.
          Io a differenza del titolo del post, non credo ad Asor Rosa. O meglio, credo nel suo ruolo, non già di colui che da risposte discutibili, ma di colui che pone interrogativi ineludibili.In questo credo.