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Manifesto Per Una Nuova Scuola

Pubblico, qui di seguito, un interessantissimo articolo/inchiesta/manifesto incentrato sulla scuola italiana. Se, idealmente, l’Italia dovesse decidere su cosa investire per migliorare, dovrebbe senza dubbio partire dalla scuola. Sarà banale, ma è così. Unica pecca dell’articolo: gli autori non ci dicono quanto potrebbe costare applicare tutti i loro consigli. Buona lettura

Fonte: wired
Di Giovanni Floris, Mercedes Vela Cossìo, Federico Ferrazza e Giulio Valesini
Storie di Federico Ferrazza
Ricerche di Giulio Valesini e Mercedes Vela Cossìo

Come ci insegnavano le maestre? Se si è combinato un pastrocchio l’unica cosa da fare è mantenere la calma e ricominciare da capo. Piano piano, passetto dopo passo, ripartendo dall’inizio. Riproviamoci allora, perché il pastrocchio è la Scuola italiana, condannata dagli errori di tutti noi a perdere ruolo, status e funzione anno dopo anno, mese dopo mese. Durante l’ultimo anno scolastico molto si è discusso, poco è cambiato. Il governo ha fatto quello che fanno sempre i governi, intrecciando pochi elementi di riforma con decisi ridimensionamenti della spesa; e l’opposizione ha fatto quello fa sempre l’opposizione, cavalcando e sostenendo “a prescindere” i movimenti di contestazione studentesca. Anche i movimenti studenteschi hanno ripetuto il copione di sempre: partono con ragioni valide, raggiungono un picco di partecipazione, si riducono presto nelle mani di pochi professionisti del campo che fanno perdere al tutto autorevolezza e consensi.

Per rimettere in piedi il nostro sistema servono due cose: copiare le esperienze che funzionano e trovare i soldi per farlo. Le prime le racconteremo in queste pagine, i secondi esistono, ma bisogna saperli trovare. Siamo un paese dal futuro ipotecato, che per ogni euro speso per l’istruzione ne versa 7 al debito pubblico: un euro regalato al futuro, 7 immolati a un passato di sperperi. Ciò nonostante uno stato deve trovare le risorse per investire nel proprio futuro, altrimenti è uno stato che non ha fiducia in se stesso e nei propri cittadini. E allora buon anno scolastico a tutti. Con l’augurio che sia l’anno in cui siamo tornati a credere in noi stessi e nella nostra cultura.

IL MANIFESTO

Sblocchiamo l’ascensore sociale
La scuola deve dare a tutti la possibilità di costruirsi un futuro migliore. La scuola italiana, invece, non migliora la vita degli alunni. È accondiscendente con i più forti, crudele con i più deboli. In Italia, purtroppo, lo status della famiglia è una variabile determinante per il rendimento scolastico: più la famiglia è benestante, meglio vanno i figli a scuola. La zona di provenienza pesa ancora di più: il voto medio di uno studente meridionale appartenente a una famiglia molto ricca è pari al voto medio di uno studente proveniente da una famiglia disagiata del Settentrione. Si è più danneggiati insomma dal vivere al Sud che favoriti dall’alto status sociale.

In Italia, poi, il futuro si eredita con il Dna: le statistiche ci dicono che, in media, un figlio di libero professionista su quattro rimane nella posizione del padre, mentre solo tre figli di operai su cento riescono a diventare imprenditori, dirigenti, liberi professionisti. Bisogna allora porsi un obiettivo. Con calcoli complessi l’Ocse stima l’elasticità del reddito intergenerazionale, misura cioè la forza del legame tra il reddito del padre e quello del figlio. Più l’indicatore si avvicina a 1 più il destino del figlio è segnato dalle fortune del padre: elasticità zero significa invece che l’entità del reddito paterno non influenza minimamente quella del figlio, e si ha quindi la massima mobilità intergenerazionale.

In Italia la mobilità sociale è fortemente limitata e l’elasticità del reddito è pari a 0,48, mentre per i paesi nordici rimane addirittura al di sotto di 0,2. Danimarca 0,15, Norvegia 0,17, Finlandia 0,18. Anche la Spagna ci batte, con lo 0,33. Dobbiamo disinnescare questo meccanismo, sbloccare il cosiddetto ascensore sociale, e se per Bankitalia il 53 per cento degli italiani oggi come oggi rimane (suo malgrado) bloccato nel ceto sociale dei genitori, dobbiamo impegnarci perché i nostri figli possano contare su percentuali da paese civile. La quota di persone che, nate in una famiglia operaia, riescono a raggiungere la più alta classe sociale è in Usa del 20,6 per cento, in Italia del 13,3, in Francia del 14,0, in Gran Bretagna del 15, 5. Bisogna avvicinarci almeno a Spagna, Francia e Gran Bretagna. Avrebbe un alto valore simbolico farlo in 13 – 15 anni, il tempo di un’intera carriera scolastica.

Controlli, facciamoli all’inglese
Libertà di scelta agli istituti (e chi sbaglia paga). Per portare la scuola italiana in Europa dobbiamo essere in grado di migliorarla. Le scuole devono essere messe in grado di gestire autonomamente organici e orari, in modo da rispondere dei docenti che selezionano e del contributo che offrono alla comunità scientifica. Devono poter prendere iniziative e potersi correggere, approfittando del controllo della pubblica istruzione e delle stesse famiglie.

La riforma del sistema scolastico tratteggiata in Gran Bretagna prevede ad esempio che i genitori possano sollecitare (rimanendo anonimi!!) un’ispezione ministeriale nelle classi dei propri figli qualora ritengano che gli insegnanti non siano all’altezza del loro compito. Gli eccessi britannici sono evitabili, ma potremmo almeno organizzare un sistema secondo cui le scuole peggiori vengono monitorate ogni anno, le migliori ogni tre, le mediane ogni due.

Onore (e premi) al merito
È necessario trovare criteri condivisi, oggettivi e scientifici di valutazione del risultato, organizzare delle prove e stabilire uno standard per ogni materia, in modo da sapere ogni anno come hanno studiato i ragazzi. Così si arriverà a conoscere la scuola migliore, la sezione più efficiente, l’insegnante più bravo, lo studente più meritevole, o (meglio ancora) quello che ha segnato i progressi più evidenti. Barack Obama, in Usa, ha messo in palio un premio di oltre 4 miliardi di dollari per le scuole che sapranno raggiungere i risultati migliori, e ha preannunciato un severo controllo dei docenti. Il metodo è semplice: i bravi saranno pagati di piu, i cattivi saranno licenziati. «Io respingo», ha detto Obama, «un sistema che ricompensi il fallimento e protegga un persona dalle conseguenze». Qualcuno può dargli torto?

Tutti per uno, tutti per tutti
Pari opportunità a scuola. Naturalmente bisogna garantire a chiunque la possibilità di usufruire dei docenti migliori. Per questo motivo il sistema francese prevede incentivi economici o di punteggio a chi decide di insegnare nelle aree svantaggiate (zone rurali, cinture urbane, territori di più densa e recente immigrazione), e lo stesso Obama ha annunciato che intende inserire i migliori insegnanti nelle scuole dei quartieri più poveri o più abitati da minoranze. Anche in Italia l’insegnante della scuola migliore (o il brillante neolaureato) che decidesse di andare a lavorare in una scuola disagiata o bassa in classifica, potrebbe godere di un forte incentivo economico, o di un forte premio in termini di punteggio.

Il meglio da ognuno e a ciascuno
Cioè la scuola del talento. Una volta individuata la scuola migliore del paese, della regione, del comune e del quartiere, e al loro interno i professori bravi e quelli che non lo sono, le famiglie dovrebbero poter chiedere la sezione che ritengono più adeguata per i propri bambini. Potendo indicare la sezione preferita, molti genitori con ogni probabilità sceglieranno la medesima sezione, e quindi non si potranno accontentare tutti. Come individuare chi far entrare? Si potrebbe ricorrere ai pre-esami di valutazione degli alunni, finalizzati a formare gruppi di studio efficienti. In cui ognuno possa trarre profitto dal lavoro proprio e altrui. Gruppi misti, per carattere e preparazione, per personalità e talento, soddisfacendo le richieste di più studenti possibile. Il sistema scolastico che funziona sviluppa il meglio di ognuno, non scarta nessuno, fa lavorare tutti e ottiene da tutti il meglio.

Si studia in gruppo perché si vive in gruppo, si lavora in gruppo, e in gruppo (in genere) si riesce o si fallisce. Ognuno di noi è sapiente in qualche cosa, ignorante in altro, ognuno di noi ha difetti e capacità. Tutti però abbiamo un talento, e la scuola dovrebbe aiutarci a capire qual è e a farlo emergere.

Obiettivo: un pc per ogni studente
La scuola deve diventare più moderna. Il termine moderno indica la capacità di rinnovarsi, e un Paese è moderno se investe tutte le sue risorse per risolvere i problemi della propria epoca. L’Italia non è un Paese moderno soprattutto perché non ha risolto il problema della scuola, della formazione dei propri cittadini e della selezione della classe dirigente. Il più grande moltiplicatore di opportunità è oggi la tecnologia: aumenta le possibilità, riduce le distanze. Per molti bambini della cosiddetta generazione digitale varcare il portone di scuola vuol dire invece fare un salto indietro di 30 anni: giovani abituati a maneggiare con naturalezza le nuove tecnologie dimenticano ogni giorno tutto quello che sanno per riaffacciarsi nel mondo dei gessetti e dell’inchiostro. Entrare a scuola deve invece significare mettere un piede nel proprio futuro. L’Italia sperimenta molto, ma deve mettere più grinta nell’innovazione: prenda esempio dal Portogallo e doti ogni studente di un pc.

Non bisogna dimenticare però che è anche un problema di didattica: non serve un computer nuovissimo se il modo di insegnare rimane quello di un secolo fa. Mentre infatti nelle nostre scuole elementari l’insegnamento è legato all’esperienza che si fa in classe, nella scuola secondaria a questo approccio viene preferito un metodo più classico, basato esclusivamente su chi parla e chi ascolta. Ben vengano quindi i pc e le lavagne elettroniche, ma non siano solo parte dell’arredo. Perché una nuova tecnologia richiede una nuova didattica.

Se le scuole cadono a pezzi
Parliamo di edilizia scolastica. Ben vengano le nuove tecnologie, ma la modernità va intesa a 360 gradi. Si parla di introdurre le lavagne interattive, si parla di e book, affidando i file dei libri da stampare alle segreterie d’istituto: ricordiamo però che 4.000 edifici scolastici hanno tra cento e duecento anni, e che i dati sulla sicurezza che leggerete nella mappa di Wired gridano vendetta. Le nostre scuole vanno ricostruite, messe in sicurezza, controllate e riparate.

In Italia oltre 15mila edifici scolastici (una scuola su tre) si trovano in zone ad alto e altissimo rischio sismico senza essere stati ristrutturati secondo la normativa sismica entrata in vigore nel 2003: 8 milioni di studenti ogni mattina entrano in aule fuorilegge. Vogliamo darci un obiettivo ambizioso? Due anni per metterci in regola, e per far stare tranquilli i genitori.

Ad ognuno il suo
il pubblico fa il pubblico, il privato fa il privato. La scuola privata è libera di competere con quella statale (ed è un bene che lo faccia, perché migliora il livello del sapere e spinge la scuola pubblica a migliorarsi) ma lo deve fare con i propri mezzi. Non sembra giusto infatti che in tempi di ristrettezze economiche siano le finanze pubbliche a foraggiare le iniziative di gruppi privati in questo settore.

È evidentemente benvenuta invece ogni liberalità privata alla scuola pubblica, dal momento che il cittadino ha il diritto di spendersi per il benessere della propria collettività.

Naturalmente serve ogni garanzia che i privati non influenzino i contenuti delle lezioni, ma sarebbe senza dubbio benvenuta e anzi decisamente auspicabile la sponsorizzazione di palestre, impianti scientifici, tecnologie e persino gite d’istruzione da parte di privati e aziende.

Ovviamente bisogna evitare che la sponsorizzazione aumenti le differenze tra scuole ricche e scuole povere (una cosa è sponsorizzare un istituto del centro, un’altra aiutare un edificio di periferia): gli sponsor potrebbero essere organizzati e diretti anche verso le istituzioni più bisognose, ma la difficoltà per scuole poco appetibili di trovare finanziamenti potrebbe essere compensata anche da un fondo pubblico, magari alimentato da una sorta di “pizzo buono”. Si potrebbe infatti pretendere dalle imprese che abbiano vinto commesse pubbliche la partecipazione in quota a un fondo comunale o regionale finalizzato al sostegno della scuola più povera.

All’istruzione i soldi degli evasori
Come trovare le risorse? Decidere di investire nell’istruzione è una scelta politica, una scelta di priorità: una volta fatta, ci si organizza per realizzarla. Si potrebbero quindi destinare alla scuola alcune quote dei fondi provenienti dalla lotta all’evasione fiscale, oppure destinare al sistema dell’istruzione una percentuale delle spese inutili cancellate. Secondo i calcoli poco ottimistici del ministero dell’Economia, l’abolizione delle province porterebbe a un risparmio di appena 2- 300 milioni di euro. Non è tanto, ma servono anche quelli: si potrebbe investirli per qualche nuovo asilo nido.

Per un’università competitiva
Quella italiana è l’università dei paradossi, in cui si laureano solo i figli dei laureati e in cui i poveri pagano gli studi ai ricchi. Se andiamo infatti a controllare le possibilità che gli iscritti all’università hanno di laurearsi, scopriamo che gli studenti con genitori di bassa condizione sociale hanno appena il 3 per cento di possibilità di farcela. Circa l’85 per cento dei costi dell’università è però coperto dalla fiscalità generale: si iscrivono tutti, ricchi e poveri, pagano tutti, ricchi e poveri, ma a laurearsi sono i figli dei ricchi.

Come se ne esce? In due modi: innanzitutto con un ampio sistema di borse di studio. In Italia l’80 per cento degli studenti non usufruisce né di borse di studio, né di prestiti agevolati. Guardiamo altrove: in Olanda la percentuale è di un misero 4 per cento, ma anche la Spagna con 66 per cento è messa meglio di noi. Cinque anni (il tempo necessario a prendere una – buona – laurea) per raggiungere Madrid, ci possono bastare?

Se ne esce poi, probabilmente, annullando il valore legale del titolo di studio. Che senso ha sostenere che una laurea presa in un’università telematica grazie a una convenzione sia equivalente a quella concessa da un’università più titolata e prestigiosa? Eppure i concorsi nella pubblica amministrazione, per fare soltanto un esempio, le mettono sullo stesso piano. Sia la prova dei fatti a stabilire quale laurea ha un valore e quale non lo ha; che a decidere del valore di una laurea siano gli studenti che si iscrivono, il contributo che i docenti offrono alla comunità scientifica, le opportunità che vengono create per i laureati sul mercato del lavoro. Che non sia più, insomma, una norma di legge.

Brescia
SCUOLA PRIMARIA / 350 LAPTOP XO IN SEI ISTITUTI / PROGETTO OLPC
XO, il computer di Nicholas Negroponte pensato per le scuole dei paesi in via di sviluppo, è finito anche in due classi della primaria di Desenzano del Garda (Bs). Il merito va a un’amministrazione provinciale che è andata a Boston (guidata dall’assessore all’innovazione Corrado Ghirardelli) per stringere un accordo con il papà di One Laptop Per Child. Il dirigente scolastico Giulio Spagnoli spiega: «La provincia ha acquistato, per circa 100mila euro, 700 computer portatili XO e 350 li ha donati a delle scuole etiopi». Gli altri (285 euro a laptop, esclusi quelli regalati) sono stati dati ad alcune sezioni di sei scuole del bresciano: qui i bambini smanettano per un’ora e mezza al giorno. «Ci fanno di tutto», racconta la maestra Carla Clerici: «Leggono testi, registrano video, disegnano, giocano a “Memory” per imparare l’inglese e guardano i luoghi che studiano su Google Maps. Li usano anche a casa per i compiti e spesso sono loro che ci dicono cosa fare quando il nostro computer non va». Come evolverà il progetto? Per ora i fondi per mantenere le sei scuole ci sono per tutta la legislatura (altri quattro anni). «Certo», dice Ghirardelli, «se avessimo più soldi
potremmo dare gli XO a molte altre classi».

L’Aquila
SCUOLA D’INFANZIA130 COMPUTER PROGETTO IBM
Emergenza casa. Ma non solo. In Abruzzo, dopo il terremoto dello scorso aprile, c’è anche l’emergenza scolastica. Soprattutto per i più piccoli. Per questo la Regione e la Fondazione Ibm si sono alleate per fare ripartire quella dell’infanzia. In chiave hi-tech: nella provincia dell’Aquila 130 sezioni dei comuni colpiti dal sisma sono state dotate di una postazione multimediale, la Young Explorer. Un computer nascosto in una “scatola” colorata e accattivante per i bimbi dai tre ai sei anni che, grazie alla panchetta a due posti di YE, possono avvicinarsi alle tecnologie digitali attraverso giochi, musica e disegni, in uno spirito collaborativo. «I bambini – soprattutto in luoghi in cui le tendopoli hanno stravolto le relazioni sociali – devono capire fin da subito che le tecnologie digitali si possono usare insieme», spiega Angelo Failla, presidente della Fondazione Ibm che dal 2000 sostiene in Italia il progetto KidSmart (circa 300 scuole coinvolte) il cui cuore hardware e proprio YE. Che da sola, però, non basta. È fondamentale anche la formazione degli insegnanti: in Abruzzo ci sono incontri settimanali con esperti di tecnologie dell’apprendimento e psicologi. Perché anche gli adulti devono imparare a superare l’emergenza.

Portogallo
UN PORTATILE (GRATIS ) PER TUTTI
In Italia, oltre a XO, si prova JumPC, una versione del Classmate di Intel realizzata da Olidata. Il netbook è stato testato in cinque scuole primarie (in Piemonte, Lazio e Sicilia), coinvolgendo 150 bambini e 15 insegnanti: ora il governo vorrebbe coinvolgere (con la Fondazione Mondo Digitale) le altre 17 regioni. Un passo già compiuto dal Portogallo con il progetto Magallanes. Il piano prevede che tutti i bambini delle primarie abbiano un laptop Classmate. Il governo sta regalando i portatili alle famiglie più povere mentre le altre pagano 30 o 50 euro, a seconda del reddito. I Classmate, prodotti in Portogallo, saranno anche esportati. Il Venezuela ne ha comprato un milione di esemplari. I computer non verranno pagati soltanto in denaro: nella contropartita il presidente Chavez ha infatti inserito 300mila barili di petrolio.

VECCHIO REGISTRO ADDIO ARRIVA LA SMART CARD
Un prof entra in aula con una smart card, la avvicina al computer di classe, si autentica e accede al suo registro elettronico per segnare le assenze, i compiti per la lezione successiva o le giustificazioni. È quello che succede al liceo Maffei di Riva del Garda (Trento).

DOVE Le informazioni sono su un server centrale, accessibili via web, con autenticazione dell’insegnante.
COSA Assenze, note disciplinari, giorno delle verifiche, comunicazioni, ecc. È possibile inserire le lezioni, che il ragazzo assente può copsì recuperare.
PER I GENITORI Si accede al profilo del proprio figlio e si può prenotare un appuntamento con gli insegnanti. È possibile ricevere via sms la notifica di assenza di figli (funzione non abilitata al Maffei di Riva del Garda).

Galatina
SECONDARIA ITC / LAVAGNA INTERATTIVA / PROGETTO MICROSOFT
Toc. Toc. Toc. Il rumore delle dita di Giulia è nuovo per chi non ha mai visto una Lim, cioè una lavagna interattiva multimediale. Siamo nell’Istituto tecnico commerciale Laporta di Galatina (Lecce) che, dallo scorso gennaio, ha dato l’addio alla lavagna di ardesia. Adesso, quasi tutte le lezioni sono digitali. A prima vista la Lim sembra uno schermo sul quale proiettare banali slide PowerPoint. Non è così: permette di interagire con testo, immagini e video, ingrandendo, cliccando e spostando. Una rivoluzione firmata dal professore di informatica Piero Gallo (grazie al supporto del preside Angelo Rampino) e finanziata per circa 90mila euro da Microsoft che vorrebbe esportare, stavolta guadagnandoci, il “modello Galatina” anche in altre scuole.

I vantaggi di una Lim sono evidenti: ciò che si cancella sull’ardesia, si può salvare sul pc collegato alla lavagna digitale. in più la Lim permette ai docenti di prepararsi a casa una lezione e agli studenti di portare in classe, su una pennetta Usb, i compiti. Come fa Giulia, che continua a premere sulla Lim per mostrarci la tesina con cui si è diplomata a luglio con il massimo dei voti. Complimenti.

Benevento
UNIVERSITÀ / PROCESSO SIMULATO / PROGETTO ISFOL

Nicola è l’avvocato difensore. Antonio fa la parte lesa: è inciampato in una buca sul marciapiede, ferendosi. Luisa è il legale del comune. E il prof, Ernesto Fabiani, interpreta il giudice. Siamo dentro Simulex, serious game per replicare un processo al computer e fulcro di un esame di giurisprudenza dell’università del Sannio (Bn). Nel corso di procedura civile 3, infatti, gli studenti hanno assunto un ruolo (difesa, accusa, testimone e così via) e il risultato è stato un esperimento divertente in cui gli aspiranti giuristi hanno messo in pratica le nozioni contenute nei manuali di diritto. Durante il gioco, per esempio, gli avvocati dovevano stare attenti a rispettare i tempi per evitare la prescrizione o far analizzare a un perito il manto stradale in cui era caduto Antonio. Simulex è stato ideato da Nicola Lettieri, ricercatore dell’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) che insieme al game designer Vincenzo D’Elia ha sviluppato un concept di gioco di ruolo 3D. Per la partenza del corso universitario la simulazione grafica non era ancora pronta. Si è scelta così una versione fatta di solo testo. Che ha comunque divertito gli studenti, non più alle prese solo con codici e manuali.

Second Life
TORINO, HARVARD E IL SOCIAL-MONDO
Fino a due-tre anni fa, Second Life era sulla bocca di tutti. Oggi la moda è tramontata e l’ambiente 3D si sta specializzando in alcune nicchie. Prima fra tutte l’education: università e scuole usano Second Life per ampliare l’offerta didattica. Ecco qualche esempio.

UNIVERSITÀ DI TORINO L’ateneo piemontese è su Second Life da qualche anno. Diverse le iniziative come la recente nascita di “Unito ResearchLab” per realizzare un ambiente di apprendimento che unisca il 3D all’e-learning. Inoltre nelle isole torinesi è possibile assistere a lezioni in aule virtuali o ad altri eventi come mostre fotografiche.

NEW MEDIA CONSORTIUM È un’associazione non-profit che riunisce le migliori università, musei e centri di ricerca di tutto il mondo. Vi aderiscono fra gli altri il Mit e le università di Harvard, Yale e Princeton. Su Second Life ha un’isola dove si tengono conferenze, lezioni e seminari. Ogni settimana i visitatori unici (e interessati) sono 1500.

OPEN UNIVERSITY Nel 2009 compie 40 anni ed è la più grande università del Regno Unito specializzata nell’insegnamento a distanza (oltre due milioni di studenti sono passati nelle sue “aule”). Poteva mancare su Second Life? Ovviamente no: nelle isole della OU è possibile assistere alle lezioni e scaricare materiale didattico.

LOYALIST COLLEGE Nel mondo reale la sua sede è a Belleville, in Ontario (Canada). È specializzato in giornalismo e materie scientifiche e tecnologiche e ha aperto un campus su Second Life nel 2007. Qui gli studenti possono studiare, seguire le lezioni, sperimentare nuovi media e divertirsi: ci sono anche angoli per socializzare come pub e discoteche.

HARVARD UNIVESITY Tra i pionieri dell’uso di Second Life nella didattica. Diversi gli insegnamenti in 3D. Fra i suoi corsi più noti quelli in Legge che – come nel caso dell’università del Sannio – aiutano a mettere in pratica le nozioni teoriche.

Parma
SCUOLA LIQUIDA NELL’APPENNINO
La scuola liquida di Bardi è nata agli inizi del 2000 per rispondere alle esigenze degli studenti del comune appenninico che volevano frequentare gli istituti superiori delle località vicine. Per evitare gli spostamenti dei ragazzi quattro scuole della zona (Itc “Zappa” di Borgotaro, Ipsia “Levi” di Bedonia, Itsos “Gadda” di Fornovo e Istituto comprensivo di Bardi) si sono organizzate per mettere in piedi un istituto “liquido”, la Scuola@Bardi. Liquido perché la sede non è una sola: per tre giorni alla settimana i ragazzi si ritrovano a Bardi per gli insegnamenti comuni. Per i laboratori e le materie di indirizzo, invece, viaggiano per raggiungere le sedi delle loro scuole. Il pendolarismo però si riduce di anno in anno grazie all’uso della Rete, che consente agli studenti di seguire le lezioni in modalità e-learning o attraverso video conferenze. I ragazzi così, anche a casa loro, è come se fossero seduti al loro banco. Il modello di Barni verrà riproposto anche in altre zone, per esempio in Sardegna, dove il pendolarismo penalizza gli studenti.

Bollate
FORMAZIONE INFORMATICA PER I DETENUTI / PROGETTO CISCO
Cristian ha 29 anni, indossa una maglietta di rugby e dall’alto dei suoi quasi due metri ti guarda con occhi sorridenti. Sembra un gigante buono. Lo incontriamo a Bollate: nel carcere del comune milanese sconta una condanna per omicidio. Insieme ad altri detenuti (Massimo, Antonello, Gennaro, Rosario e un altro Massimo), è in un’aula dove gli studenti stanno cercando di darsi una seconda opportunità. Tecnologica. A Bollate, infatti, c’è una delle circa 300 Networking Academy italiane di Cisco (un’altra sta per essere inaugurata nel carcere di Castrovillari). Sono corsi di formazione informatica che insegnano a installare un network o a configurare un router o uno switch. L’insegnante è Lorenzo Lento, volontario e consulente Cisco. «Grazie a gente come lui possiamo guardare al futuro in maniera diversa», dice Massimo. A un futuro diverso pensa anche l’altro Massimo, che si è iscritto alla Bicocca per laurearsi in Informatica. I detenuti hanno anche messo in pratica le lezioni dell’Academy cablando parte del carcere. Ma Lorenzo, 200 alunni in nove anni di insegnamento, non pensa che questo basti: «Così, quando escono, faccio tutto il possibile per trovare loro un lavoro». E spesso ci riesce.